mercoledì 27 marzo 2013

Pazzia



Era lì davanti a me con l'aria di chi volesse interrogarmi!
Mi guardava stupita, come se io fossi diventato ai suoi occhi, una cosa orrenda, perfino per essere osservata.
Non potevo biasimarla, l'avevo invitata ad uscire con me, poche ore prima, perché volevo confessarle la verità; avevo scelto di portarla al parco pensando che, lo scenario della natura, le addolcisse un po' la cruda realtà.
Ma lei sembrava essere diventata di pietra, come la panchina dov'era seduta.
Cercavo d'immaginare le domande che si affollavano nella sua mente, sicuramente le solite del caso: - Ti stai divertendo a prendermi in giro? - - Stai scherzando? - - Ma credi che io sia tanto stupida da crederti? -
Ma le sue labbra non proferivano parole, m'interrogava con gli occhi, aspettando che io continuassi.
Mi avvicinai a lei e con un gesto affettuoso, provando ad abbracciarla, ma essa mi urlò: - No! - allontanandomi con le mani.
Pensai: - " Mi odia. Adesso che sa tutto mi odia ... ho forse prova schifo. -
Non capiva che io lo avevo fatto per noi? Possibile che non riuscisse a vedere la cosa, nella mia stessa ottica?
Mi schiarii la gola e provai a spiegarglielo; - Tesoro ... Non pensi anche tu, che dovevo agire così? ... Perché mi guardi stravolta? Io ho pensato a noi. Soltanto a noi. -
Si riscosse dall'apatia in cui si era calata, mi puntò con occhi di fuoco e disse: - Era la mia migliore amica, come hai potuto farle una cosa simile? ... Come hai potuto trattarla in questo modo? -
- Se non lo facevo, lei ti avrebbe raccontato cose false su di me ... Io volevo ... volevo che tu sapessi da me certe cose. Solo io potrei darti la versione giusta; ... Ma tu non mi avresti creduto se lei si fosse intromessa nella nostra vita. -
- Ti sembra che il tuo attuale comportamento, sia giusto? - rispose sempre più arrabbiata, quindi si alzò dalla panchina mi diede una rapida occhiata, si volse e corse via.
Non provai nemmeno ad inseguirla, sapevo benissimo dove la sua coscienza l'avrebbe portata, mi rendevo conto che questo non era un bene per me, ma tanto senza di lei, qualunque cosa perdeva valore anche la mia vita.
Mi sedetti stancamente sulla panchina e ripensai al suo viso sconvolto mentre le confessavo tutto.
Non era stata colpa mia, lo avevo precisato a Marzia, era tutta colpa della sua cara amica.
Le raccontai come qualche anno prima avevo conosciuto Rosy in discoteca; Rosy è una ragazza piacente e anche facile, l'avevo stuzzicata e mi ero accorto che ci stava, le offrii da bere poi ci allontanammo per fumarci un po' di erba insieme, ero giovane allora, quella era la prima volta che fumavo e indipendentemente da me la cosa mi eccitò, volevo essere trasgressivo, diverso dal mio solito, perché gli amici mi prendevano in giro, dicevano che ero troppo bravo ragazzo per uscire con loro.
Lei era provocante, calda e la situazione si riscaldò più del dovuto per me, ma lei, da quella puttana che era, dopo aver giocato non voleva più continuare, io persi il controllo, ero troppo oltre il mio limite, la volevo, la volevo con tutto me stesso e me la presi, senza chiederle il permesso.
L'avevo violentata, si, l'avevo avuta con piacere, proprio perché era una violenza, ne ero stato contento, ero contento di questo nuovo io che sentivo soddisfatto in me.
Lei non mi aveva denunciato, anzi, dopo quella volta ogni tanto ci vedevamo, solo per divertirci un po'.
Ma poi io avevo conosciuto Marzia, volevo piantarla Rosy, perché ci tenevo alla mia ragazza e lei, maledetta, mi aveva ricattato, avrebbe detto tutto a Marzia se io la lasciavo.
Mi ero sentito morire dentro, dovevo fare qualcosa per difendere il mio amore.
Ora lo avevo fatto!
Si! Ero tornato cattivo e trasgressivo, l'avevo violentata nuovamente, con l'unica differenza che l'avevo anche uccisa.
Ho difeso Marzia dalla sua e dalla mia crudeltà, ma avendo confessato a Marzia tutto, l'avevo anche persa per sempre, insieme alla mia vita.

Massimo Spada
02/08/2000

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