venerdì 12 settembre 2008

Capodanno Blue




Capodanno Blue


- “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” -
Daisy sorrise tristemente. Ricordava bene la voce della sua mamma, cominciava sempre con quella frase le fiabe che le raccontava quando stava ancora a casa con lei.

I parenti e suo padre, quando lei chiedeva dov’era la mamma, le rispondevano che lei era un angelo e che si trovava accanto a “Dio”, ma Daisy sapeva benissimo che la sua mamma era morta.
Ormai erano passati quasi sette mesi da quando aveva sbirciato nella stanza della mamma per vedere come stava. I suoi occhi innocenti avevano visto un viso pallido e smunto: la bellezza che prima aveva tanto ammirato nella sua mammina quel giorno non c’era più. Era a letto, magra e spaventata, non aveva neppure la forza di parlare. Daisy aveva guardato con orrore il corpo morente della madre, nascosta dietro un angolo per non essere vista.
Era stato un attimo, mentre l’infermiera aveva aperto la porta per chiamare suo padre e aveva atteso che lui giungesse. Aveva tenuto la porta appena un poco aperta e aveva visto sua madre. Poche ore dopo era morta, e suo padre era andato da lei per dirle che la sua mamma era dovuta andare via, che per un poco non sarebbe tornata. Ma lei aveva capito che ormai se n'era andata via per sempre.

Adesso era l’ultimo giorno dell’anno. Suo padre era fuori Londra per lavoro, almeno questo era quello che diceva. Da quando la mamma era morta stava a casa il minimo indispensabile, faceva sempre viaggi di lavoro e a lei badava una vecchia zia di suo padre.
Quel natale era stato freddo e vuoto. Daisy si era sentita sola e abbandonata in quella grande casa vittoriana. Quando arrivava la vigilia di Natale, la mamma le dava il permesso di restare sveglia fino alla mezzanotte per aspettare la nascita del bambin Gesù, ma quella vigilia era stata molto diversa. La zia era vecchia e non aveva voglia di aspettare la mezzanotte, suo padre non c’era e lei era stata mandata a letto subito dopo cena.
Daisy aveva protestato dicendo che ormai non era più una bambina e che voleva aspettare come gli altri anni l’arrivo del bambinello, ma la zia era stata irremovibile.
- Tu sei ancora una bambina! – aveva detto con malagrazia la zia – Credi che basti avere undici anni per essere una signorina? -
Daisy si era rassegnata e alla fine del pasto serale era salita subito in camera sua e aveva aspettato sveglia la mezzanotte, versando lacrime amare sul cuscino.

Adesso sembrava che la vigilia del nuovo anno in arrivo dovesse svolgersi allo stesso modo. Suo padre non era tornato neppure per quella festa e la zia non sembrava volerle concedere neppure di aspettare l'anno nuovo.
Daisy però questa volta non disse nulla, e alla fine del pasto serale come la volta precedente ( e come tutte le sere da quando la zia viveva in casa loro ) si alzò da tavola, salutò con grazia la zia e si apprestò a salire in camera. La zia sorrise compiaciuta e Daisy ebbe voglia di urlarle contro che era una vera ingiustizia mandarla in camera sua anche quella sera, ma non disse nulla. Chinò la testa e guardò il tappeto che c’era sotto i suoi piedi, augurò la buona notte alla zia con freddezza e poi lasciò la stanza da pranzo.
Mentre abbattuta saliva le scale per andare in camera sua le lacrime rigavano il suo bianco viso da elfo e fu in quel momento che le sembrò di udire una voce sussurrarle all’orecchio: - “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” –
Si voltò di scatto alla sua destra, ma accanto a lei non c’era nessuno. Eppure era certa di aver sentito la voce della sua mamma pronunciare quella frase.
Da quella parte, in fondo al corridoio del piano di sopra, c’era la stanza da letto dei suoi genitori. Da sette mesi era chiusa e nessuno ci metteva piede, a parte le cameriere per pulire una volta a settimana, e poi veniva nuovamente chiusa.
Ma quella sera Daisy aveva tanta voglia di andare a rifugiarsi in quella stanza, sperando di sentire ancora la presenza di sua madre e così, senza starci tanto a pensare, vi si diresse lentamente. Con gesti furtivi vi si introdusse sperando di non essere stata vista da nessuno.
Le tende erano chiuse percui non filtrava neppure la pallida luce della luna. La stanza era immersa nell’oscurità e per un attimo Daisy ebbe paura, ma poi si fece forza e premette l’interruttore. La bianca luce artificiale le ferì gli occhi che lei copri con le mani per qualche attimo poi, lentamente, abbassò le braccia e si guardò intorno. Sembrava tutto così diverso adesso che i suoi genitori non erano lì: l’ambiente era così freddo, quasi anonimo; non c’era il tocco personale della sua mamma che con la sua sola presenza riusciva a riscaldare il cuore di Daisy.

Daisy fece qualche passo verso la toletta bassa dove la sua mamma si truccava quando doveva uscire. Lentamente spostò lo sgabello e vi si lasciò cadere stancamente, prese la spazzola e si lisciò distrattamente i capelli sperando di scorgere la mamma nello specchio di fronte a se. Ma lei non apparve e Daisy scorse nello specchio solo l’immagine del suo pallido viso con gli occhi pieni di lacrime, quei grandi occhi neri che tutti dicevano che erano come quelli di sua madre.

- “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” –

Ancora quella frase!
Era lei che la immaginava oppure qualcuno con la voce di sua madre gliela sussurrava all’orecchio?
Eppure Daisy la sentiva bene, come se qualcuno fosse dietro di lei e le rivolgesse quella frase per farle capire qualcosa di importante. Ma cosa?
Daisy non riusciva proprio a comprendere. A quel punto c’era da chiedersi se non stesse diventando matta! Scacciò quel pensiero con un movimento rapido della testa, poi ripose la spazzola sulla toletta e stava quasi per alzarsi dallo sgabello quando si ricordò che nel cassettino della toletta la mamma teneva i propri gioielli. Daisy non era molto vanitosa, ma la mamma aveva una collana che aveva per ciondolo uno zaffiro a forma di goccia che a lei piaceva tanto. Ormai era più di un anno che non vedeva quel gioiello e sicuramente doveva essere ancora lì nel cassetto della toletta.
Perché non guardarci dentro?
In fondo era della sua mamma e lei prima lo vedeva spesso!

Aprì il cassetto e subito lo vide. Era lì, splendido come sempre, brillante di fredda luce blue che abbagliava e rapiva gli occhi e il cuore di chi lo guardava.
Daisy sorrise, il primo sorriso sereno dopo sette mesi di pallidi sorrisi di circostanza. Con mano tremante prese il gioiello dal cassetto per ammirarlo meglio poi, spinta da una forza strana che non riusciva a decifrare, se lo mise al collo e si ammirò allo specchio.

- “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” –

Daisy sussultò: ancora quella voce che diceva quella frase!
Quella frase la conosceva solo sua madre, anche perché il libro dove l’aveva letta la riportava leggermente diversa, quindi anche se qualcun altro l’avesse letta non avrebbe potuto conoscere le modifiche che vi aveva apportato sua madre.
Quindi quella voce come poteva conoscerla?
Daisy non riusciva a spiegarsi quello strano mistero. Si specchiò ancora una volta, alla ricerca quasi disperata di una compagnia, ma lo specchio le mostrò solo il suo visino pallido e addolorato. Daisy distolse lo sguardo dallo specchio e prendendo fra le mani lo zaffiro sorrise. I suoi occhi ammiravano il gioiello come se quella fosse la prima volta che lo vedeva.
D’un tratto lo zaffiro cominciò a brillare. Dapprima era una pallida luce blue ma pian piano divenne sempre più abbagliante, fino ad avvolgerla quasi completamente.
Daisy ebbe un attimo di paura, ma poi, dentro la luce trovò quella pace e serenità che era andata a cercare in camera di sua madre e si rilassò completamente.

_ “ Il grande salone delle feste che ormai da più di un anno non veniva utilizzato era ora inondato dalla luce dei due grandi lampadari di cristallo. I pendagli dei lampadari colpiti dalla luce mandavano bagliori sfavillanti, la musica di un valzer dilagava nel salone e molte coppie danzavano al centro della sala, sulle note di “Rose del Sud” di Strauss.
Daisy era ancora sull’uscio del salone, osservava meravigliata tutto quello scintillio di luci e colori. Si guardava intorno alla ricerca di qualche volto conosciuto, ma fra quella gente non c’era nessun viso che Daisy ricordasse: erano tutte persone che lei non aveva mai visto in vita sua.
Ma chi era quella gente? E cosa ci faceva in casa sua?

Daisy abbassò lo sguardo sul suo vestito e… MERAVIGLIA!
Aveva un bellissimo abitino azzurro, ricoperto di piccoli strass che brillavano quando la luce li colpiva. Il corpetto era stretto fino alla vita da dove una cascata di tulle e veli arrivava fino alle caviglie. Le maniche di leggerissimo velo azzurro si fermavano morbide sui polsi piccoli della bambina.
Sul suo collo brillava la collanina di sua madre in oro bianco con lo zaffiro a forma di goccia.
- Signorina, non vuole entrare nel salone? – la voce di uno dei camerieri che giravano per il salone la riscosse.
- Io?… Posso entrare nel salone? – chiese sorpresa.
Quando c’erano feste da ballo i suoi genitori non le avevano mai permesso di parteciparvi, forse perché era troppo piccola a quel tempo.
- Certo che può! Anzi, deve entrare… questa festa è in suo onore, signorina Daisy! Non si ricorda?… -
- Cosa dovrei ricordare? – chiese Daisy sempre più sorpresa.
Improvvisamente la musica tacque e tutti gli ospiti si girarono verso di lei. Daisy arrossì dalla punta dei piedi fino alla radice dei capelli. Sollevò il viso appena in tempo per vedere gli ospiti aprire un corridoio nel salone. In fondo si trovava una bella signora vestita di blue con i capelli d’argento che le fece segno di raggiungerla.
Con passi incerti Daisy si avviò verso la signora e più si avvicinava più il suo cuore accelerava i battiti, aveva le mani sudate e la gola secca.
Cosa stava succedendo nel salone di casa sua?
Chi era tutta quella gente?
- Ciao Daisy! – la saluto la signora dai capelli d’argento – Io mi chiamo Rose, sono lo spirito della rosa bianca che c’è nel tuo balcone… Sono giorni che ti sento piangere, ti ho sentita mentre chiedevi di vedere una delle feste di capodanno che organizzava tua madre… e insieme a degli amici abbiamo pensato di farti una sorpresa. In cambio tu dovrai fare una cosa per noi… -
- Lo sapevo che dietro a tutto questo c’era un trucco… Io non posso fare nulla per nessuno… -
- Non preoccuparti, questa è una cosa che puoi fare se lo vuoi! In cambio avrai la più bella festa di capodanno che tu possa ricordare negli anni. -
Rose sorrideva e guardava Daisy dritto negli occhi, voleva che la piccola si fidasse e lasciasse ad un altro momento la diffidenza.
- Da quel che vedo, state cercando di fare il possibile per rendere questa casa luminosa… ma senza la mia mamma che dirige la festa, manca qualcosa d’importante… la sua vigile presenza! -
- Mi dispiace, la sua presenza non posso fartela avere… vorrei poterlo fare, ma non sono io che posso farla tornare da te… e forse nel mondo non c’è nessuno che possa fare questo miracolo. In fondo, lei è sempre con te finché tu la penserai. Resterà nei tuoi ricordi più cari fin quando vorrai. -
- Immagino che lei abbia ragione! Anche a scuola le maestre me lo dicono… - disse Daisy.
- Perché è così. La vita continua, malgrado tutto. Anche quando siamo convinti che per noi più niente conti, ecco che sorge sempre l’istinto di sopravvivenza dell’uomo e trova qualcosa a cui aggrapparsi fino a che il dolore non viene addolcito dal tempo. Sarà così anche per te. Adesso ti senti molto sola e impaurita, guardi al domani con apprensione, ma presto il tempo e le esperienze ti aiuteranno a crescere e a vedere le cose diversamente. Ma adesso non è il caso di pensarci, questa sera festeggerai l’ultimo giorno dell’anno con gioia, senza paure ne tristezze. -
- E cosa volete che faccia in cambio di tutta questa luce che avvolge la mia casa? - chiese Daisy timorosa.
- Nulla per adesso! Cerca di divertirti e non pensare a nulla, più tardi saprai tutto! – rispose Rose con un candido sorriso sulle labbra.

Daisy non se lo fece ripetere due volte, tutto quello che vedeva intorno a se era gioioso e sfavillante. Le sembrava di vivere dentro un sogno, la musica, la gente, le luci, tutto era troppo bello per essere vero.
Daisy danzava sulle note dei più bei valzer del repertorio di Strauss, senza pensare a nulla, felice come non lo era stata da molto tempo. Poi, improvvisamente, tutto intorno a lei si fermò. La musica, lo sfavillio delle luci, la gente che danzava... tutto era fermo come se fossero le immagini di una cartolina.

- “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” – ecco di nuovo quella voce che ripeteva ancora quella frase.
Era una voce di donna, ma non era quella di sua madre. Daisy questa volta riuscì a capire che era la voce di un’altra persona. Udì chiaramente la frase e il tono della voce, sebbene lieve e dolce come quello di sua madre, non era quello della sua mamma.

La catenina di oro bianco che aveva al collo si spezzò e lo zaffiro a forma di goccia cadde ai suoi piedi.
Nell’istante in cui lo zaffiro toccò il freddo pavimento di marmo una luce blue abbagliante si sprigionò dal gioiello e invase il salone. Una figuretta esile cominciò a delinearsi, sembrava uscire da dentro lo zaffiro e pian piano si ingrandì fino a diventare una bellissima donna. Lunghi capelli blue scendevano liberi sulle sue spalle, un corpetto blue aderente le fasciava la parte superiore del corpo e una corta gonna di velo dello stesso colore, che non lasciava nulla all’immaginazione, scendeva morbida sulle cosce lunghe e affusolate. I suoi occhi erano dello stesso colore dello zaffiro che era caduto a terra poco prima, le sue labbra erano piene e fresche come petali di rosa e si atteggiavano in un radioso sorriso.
Daisy rimase a bocca aperta a guardare quella apparizione. Per la giovane mente della ragazzina quella poteva solo essere una fata o qualcosa di simile.
Ed infatti la donna le rivolse uno sguardo pieno di tenerezza e disse: - Ciao Daisy, come stai adesso? Passata la malinconia? –
- Si! Un poco mi è passata. Questa sera mi sono divertita tanto… non ricordo più quand’è stata l’ultima volta che mi sono sentita così serena e felice! Ma tu chi sei? Come fai a conoscere il mio nome? – poi si rese conto che la voce della donna era simile a quella che aveva udito poco prima, la stessa voce che le aveva detto la frase con la quale iniziava le fiabe sua madre e continuò; - Dove hai sentito quella frase?… Io non ti ho mai vista a casa mia, quindi come fai a conoscere quella frase? -
- Io mi chiamo “Ethel”… sono lo zaffiro che portava al collo tua madre, quando ti raccontava le fiabe prima di uscire… sono la regina degli zaffiri e per molti anni sono stata costretta a vivere solo con la forma di una pietra… -
- Come mai? Sei stata punita per aver fatto qualcosa di male? – chiese Daisy con ingenuità.
- In effetti si! Ero troppo fredda e distaccata e la precedente regina mi disse che per riuscire a conquistare il rispetto e l’obbedienza dei miei sudditi avrei dovuto dimostrare loro che c’era del calore anche nel mio cuore, che dovevo riuscire a portare gioia e calore ad un cuore triste e solo… Quando tua madre ha ereditato la collana ero convinta di dovere aiutare lei, ma non fu così… Lei era già felice senza bisogno del mio aiuto, amava tuo padre e aveva te, ma poi lei si è ammalata e mi ha tacitamente chiesto di prendermi cura della sua bambina, che senza di lei sarebbe rimasta sola. Ma tu non venivi a prendermi e così ho pensato di chiamarti. Il solo modo che conoscevo per attirarti a me era la frase che ti diceva la tua mamma quando iniziava le fiabe. Sapevo che quella frase ti avrebbe condotta fino a me… così ho tentato, ti ho chiamata e tu sei giunta. Volevi una festa di Capodanno simile a quelle che organizzava tua madre e io ti ho accontentata. Sembra che io sia davvero riuscita a colmare il vuoto che c’era dentro il tuo cuore. Per una sera hai dimenticato la tua tristezza e hai di nuovo riso di cuore come non ti accadeva da tempo. E il fatto che io abbia potuto mostrarti il mio aspetto, diciamo umano, significa che tu adesso sei più serena.
Dopo questa festa non avremo più modo di parlarci, ma sappi che io sarò sempre accanto a te e con me ci sarà anche lo spirito della tua mamma, che ha lasciato un po’ di se dentro lo zaffiro che adesso ti appartiene. Portalo al collo sempre e ci avrai sempre accanto. Quella collana ti appartiene, così come un tempo apparteneva a tua madre. Portaci con te e non ti sentirai più sola. –
“Ethel” sorrise, poi appoggiò le sue belle labbra sulla fronte di Daisy e la baciò.
- “ Proprio come faceva la mia mamma quando mi dava la buona notte.” – pensò Daisy. _

La porta della camera dei suoi genitori si aprì. Daisy scorse a malapena la figura alta di suo padre che si avvicinava a lei.
- Daisy, tesoro! Cosa stai facendo qui tutta sola al freddo? Sono arrivato da circa un’ora e mi sono affrettato a venire in camera tua per salutarti, pensavo che stessi dormendo tranquillamente, la zia mi aveva detto che ieri sera sei salita in camera con un visino triste e sconsolato. Ed io ero venuto a dirti che sono riuscito a liberarmi dagli impegni e sono volato qui da te per passare insieme questo Capodanno… Ma quando sono entrato in camera tua ho visto il letto ancora intatto, e mi sono preoccupato, ho temuto che ti fosse accaduto qualcosa. Ti stiamo chiamando da più di mezz’ora. Ma tu non rispondevi… -
- Papà, sei davvero tu? Non sto sognando? Sei a casa? -
- Si, tesoro mio! Sono proprio io e sono qui con te!… Ma cosa hai fra le mani? -
Daisy aprì lentamente la mano e vi trovò la collana della mamma. Lo zaffiro splendeva, sembrava dire "Ricorda ciò che ti ho detto! Portami con te e non sarai mai più sola!"
- La tua mamma adorava quella collana, la portava sempre al collo. Qualche volta ho pensato che i gioielli che io le avevo regalato non le piacessero affatto, perché aveva sempre al collo quella collanina… Se ci tieni puoi tenerla tu! Ormai sei una signorina, penso che sarai capace di tenerla con te senza perderla… -
- Posso davvero tenerla? Non ti dispiace se me la vedi al collo? – chiese Daisy con un filo di voce.
- Tranquilla! Certo, qualche volta mi sembrerà strano vederla addosso a te, ma se ci tieni puoi tenerla. Sono certo che anche la mamma lo vorrebbe. – rispose suo padre guardandola negli occhi.
Stava sorridendo. Daisy non lo aveva più visto sorridere da quando la mamma si era ammalata, e adesso stava sorridendo.
Daisy si gettò fra le braccia di suo padre e lo tenne stretto. Era davvero felice che lui fosse tornato a casa per festeggiare con lei il Capodanno. In quei mesi aveva temuto che lui non l’amasse affatto, che volesse liberarsi di lei... invece il suo papà era lì. Con lei.
- Scricciola, ma tu hai passato la notte qui al freddo? Come ti è venuto in mente di farci uno scherzo simile? Per un attimo ho pensato che fossi scappata via e di averti perduta per sempre. Mi hai fatto davvero preoccupare! Nell’ultima mezz’ora mi sono sentito perduto. Senza la mia bambina cosa farei? Non farlo mai più! -
- Si, papà! Scusami, ma ieri sera mi sentivo davvero così sola… e poi ho sentito una voce che mi ha detto… -

- “ In quella che fuggì settimana veritiera… si contò tre venerdì… allora c’era… c’era… c’era una volta… ” –



Massimo Spada
Martedì 2 Settembre 2008
H: 01:29

Malibu

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Personaggio creato da me in un'altra storia